Di Salvo Barbagallo
Dieci anni addietro, ieri 7 luglio, a Londra il terrore: quattro kamikaze imbottiti di esplosivi si fanno esplodere sulla metropolitana e su un autobus. Il bilancio delle vittime è alto: 52 morti e settecento feriti. Trascorrono appena due settimane e
il 21 luglio ecco che nella capitale della Gran Bretagna si prepara un’altra serie di attentati, ma questa volta vengono sventati in tempo e i terroristi finiscono in galera. Il 7 luglio del 2005 Londra si mostrò impreparata: tre bombe esplodono a bordo di tre diversi convogli. I treni si trovano vicino alle stazioni di Aldgate, King’s Kross e Edgware Road. Alle 9.47, un’ora dopo le prime esplosioni, una quarta bomba esplode a bordo di un autobus a due piani, vicino a Tavistock Place. I terroristi sono tutti giovani inglesi tra i 18 e i 30 anni, giovani “normali” dalle “normali” abitudini, affermarono i loro conoscenti, ma poi le indagini attestarono che tutti e quattro avevano forti legami con l’estremismo islamico. Londra imparò subito la lezione pagata direttamente sulla sua pelle: il “nemico” poteva essere anche l’insospettabile vicino di casa. L’anniversario di quei tragici avvenimenti lo abbiamo visto ricordato dal quotidiano “La Stampa”, la maggior parte dei mass media impegnata (forse fin troppo) a fare analisi e previsioni sul futuro dell’Unione Europea dopo il “no” del referendum in Grecia. La questione “terrorismo” è tenuta d’occhio, ma sicuramente a un livello quasi di informazione “abitudinaria”, probabilmente per non allarmare più di tanto, probabilmente anche per la consueta superficialità nell’affrontare argomenti scottanti quando non si hanno per il problema soluzioni in prospettiva. In Gran Bretagna per sensibilizzare l’opinione pubblica negli anni che seguirono quello che dagli inglesi veniva considerato un nuovo “11 settembre”, anche una serie televisiva trasmessa dalla BBC, “Spooks”, che narrava le peripezie di una sezione antiterrorismo dell’M15 e delle “politiche” internazionali che si animavano trasversalmente su tutto ciò che si innescava attorno al terrorismo.
Oggi la situazione rispetto agli anni precedenti non è di certo migliorata e le “notizie” sullo svilupparsi degli “eventi” collegati al terrorismo jihadista, comunque, non mancano e vengono (in un modo o in altro) divulgate, anche se l’opinione del ministro della Difesa italiano, Roberta Pinotti, è che “non è vero che l’Isis stia vincendo. Abbiamo bisogno di una contro-narrazione”. E nel contempo sul web una nuova iniziativa della propaganda jihadista: un e-book che sollecita i combattenti islamici in occidente a formare bande per far avanzare la jihad col “fine ultimo di conquistare Roma, Italia”. Il presunto e-book, apparso sul sito web Site, è intitolato “Muslim gangs”. Il sottotitolo è “Musulmani in Occidente”, e spiega “come sopravvivere in Occidente”.
Un’altra informazione giunge dal Libano: Ahmed Mikati, il “colonnelo” dello Stato islamico arrestato lo scorso ottobre dall’esercito libanese, avrebbe affermato che “l’obiettivo dell‘Isis è quello di arrivare sulle coste del Mediterraneo, passando da nord del Libano, più precisamente dalla città di Tripoli, dove alawiti e sunniti si sparano da una parte all’altra della città”. Secondo quanto avrebbe riferito Mikati, l’obiettivo degli jihadisti del Califfato di Al Baghdadi è quello di penetrare nel nord del Libano per creare un Emirato nella città di Tripoli. Uno sbocco sul Mediterraneo permetterebbe all’auto proclamatosi Stato islamico di esportare il greggio estratto soprattutto in Iraq ma anche in Siria.